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McCOY TYNER CON «SAMA LAYUCA» DEL 1974 E «TOGETHER» DEL 1978, A UN PASSO DELLA LIBERTÀ

 
 
   
// di Francesco Cataldo Verrina //

McCoy Tyner è stato uno dei pianisti jazz più importanti di tutti i tempi, considerando che la sua opera si è consumata nell’ambito di un range spazio-temporale abbastanza ampio, abbiamo la possibilità di cogliere distintamente le tante evoluzioni, le trasformazioni ed i mutamenti legati probabilmente ad una spiccata capacità di adattamento ai tempi. Di certo, Tyner non è stato uno che cavalcava l’onda o scimmiottava le mode, il suo stile è sempre stato netto e distintivo in ogni epoca da lui attraversata: talvolta fedele al canone più tradizionale del bop, altre volte latore di novità ed anticipatore di istanze sonore. Un dato può essere acquisito agli atti: un conto è il McCoy Tyner dei dischi come band-leader, un conto è il pianista che suona nel classico quartetto di John Coltrane dei primi anni ’60, dove a decidere era un’altra forma mentis, che comunque si completava e si sostanziava spesso nell’apporto pianistico di Tyner.

McCoy Tyner ha sempre mostrato le stimmate di un predestinato, sviluppando uno degli stili pianistici più caratterizzati ed espressivi della storia del jazz moderno. Il destino fu benevolo con lui sin dagli inizi. Nato povero e costretto ad arrangiarsi con i lavori più duri ed umilianti come il facchinaggio, ebbe la fortuna di abitare a pochi isolati da Bud Powell, di cui aveva iniziato ad imitare la tecnica, sin dall’età di tredici anni, stimolato dalla madre che lo aveva avviato allo studio del pianoforte. Il giovane Tyner, dotato di un tocco potente, ma elegante ed armonioso al contempo, cercherà di fare sue tutte le istanze dei grandi maestri afro-americani, come Art Tatum, Duke Ellington ed Earl Hines, ampliandone e modernizzandone le intuizioni, ma soprattutto ponendosi in cima a quel lineage evolutivo del pianismo jazz che dagli anni ’30 raggiunse vette altissime fino all’avvento delle avanguardie.

McCoy Tyner – «Sama Layuca», 1974

In «Sama Layuca» c’è il McCoy Tyner all’apice dei suoi poteri, sacerdote laico che ha assunto i sacramenti ed i paramenti del modale; dirige la congrega, compone a schema libero, mentre quando abbassa le mani sul piano disegna arazzi sonori con lussureggiante lirismo, intrecciando i fili di una musica dai tratti ecumenici. «Sama Layuca», non fu il primo e neppure l’ultimo di una gratificante serie, che vedeva il pianista contornato da un variopinto e variegato gruppo di eccellenti esecutori e comprimari di lusso: il vibrafonista Bobby Hutcherson, l’altoista Gary Bartz, Azar Lawrence al tenore e soprano, John Stubblefield che raddoppia su oboe e flauto, il bassista Buster Williams, il batterista Billy Hart e Mtume insieme a Guilherme Franco alle percussioni. McCoy Tyner propone un concept dalle sonorità avvolgenti, dispiegate come una narrazione cinematografica, attraverso un percorso esplorativo in crescendo. Tutti e cinque i frammenti dell’album sono originali, legati da una sorta di causa-effetto e recano in calce la firma del pianista leader.

«Sama Layuca», registrato al Sound Generation Studio di New York per la Milestone il 26, 27 e 28 marzo del 1974, è un album non frazionabile, sia pur suddiviso in cinque tracce, che sarebbe più giusto chiamare movimenti, i quali appaiono ispirati, concatenati dallo medesimo humus compositivo ed impregnati nelle stesse sostanze sonore, dove tutto è omogeneo nella struttura, nel contenuto e si equivale per forza espressiva e temperamento poetico, mentre le melodie, le armonie e i poliritmi si muovono trascinati da una leggiadra sensualità. C’è forse solo un puntino da segnalare, dove le stelle brillano di più: un duetto da accademia del jazz fra Tyner e Hutcherson in «Above the Rainbow», la traccia più corta dell’album. «Sama Layuca» è un momento di eccellenza del jazz anni ’70 in un contesto di forte evoluzione, un’altra tappa vinta in volata nella lunga corsa di McCoy Tyner.

McCoy Tyner – «Together», 1978

Il periodo passato sotto contratto con la Milestone, per McCoy Tyner è stato certamente uno dei più prolifici e creativi della carriera, avendo avuto l’opportunità di registrare seguendo una molteplicità di impostazioni stilistiche e di poter scegliere, quali compagni di viaggio, alcuni fra i suoi strumentisti preferiti. Tyner mostra soprattutto il tocco di abile arrangiatore, assai evidente in «One of Another Kind» per la capacità di coordinamento dei vari strumenti a fiato. In «Together», album geniale, ma relativamente trascurato, l’innovativo pianista si avvale di una super crew di strumentisti di grossa caratura. Del sestetto fanno parte, oltre a McCoy Tyner al pianoforte, Freddie Hubbard alla tromba e al flicorno, Hubert Laws ai flauti, Bennie Maupin al sax tenore e clarinetto basso, Bobby Hutcherson al vibrafono e marimba, Stanley Clarke al basso acustico, Bill Summers alle congas e alle percussioni, e il non accreditato Jack DeJohnette alla batteria (il suo nome non venne scritto nei credits dell’album, per quisquilie contrattuali). Solo due dei brani originali portano la firma di Tyner, le altre sono composizioni di Laws, DeJohnette, Hutcherson e Hubbard. I sei pezzi vengono sviluppati attraverso un hard bop modale di alta qualità, dove ognuno dei componenti del gruppo ha la possibilità di esprimersi liberamente e mettere in luce i propri talenti, qualora ce ne fosse stato bisogno. In genere questi set all-stars rischiavano di far emergere egoismi artistici, ma in questo caso il senso di collegialità è perfetto ed equilibrato.
L’album venne pubblicato nel 1978, un periodo difficile per gli storici artefici della grande epopea bop, ma per il jazz in genere, che subiva l’attacco di agenti esterni, acidi, contaminanti e corrosivi. Hubbard era lontano dai suoi giorni di gloria con la Blue Note, cosi come sbiaditi erano i ricordi di Maupin legati a Lee Morgan o Miles Davis; più di dieci anni erano trascorsi dai fasti di McCoy Tyner in casa John Coltrane, quindi ognuno dei musicisti giocò a tutto campo come se avesse ancora qualcosa da dimostrare. L’effetto è sorprendente e l’energia è quella di giovani esordienti. Gli assoli di Tyner divampano, bruciando tempi e modi, come nel periodo legato al quartetto di Coltrane. Il suo «Nubia» e «Shades of Light» di Laws sono progressioni ad alta energia; sarebbero state perfette per la Blue Note anche dieci anni prima. L’interludio di flauto di Laws in «Shades of Light» aggiunge un leggero ma intrigante cambiamento strutturale, rispetto alle sonorità declamatorie dell’accordo di Tyner. Hubbard tocca il cielo con un dito e manda in estasi chi ascolta con «Nubia», «Bayou Fever» di DeJohnette, ma soprattutto con il suo «One of Another Kind». DeJohnette è ovunque. Maupin e Clarke si esaltano in un duetto di clarinetto e basso ad arco nel bel mezzo di «Bayou Fever». Hutcherson sembra defilato, ma è costantemente brillante ed inventivo, dando una prova di arguto e veloce «melodismo» nella sulla sua «Highway One».
   
 
 
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