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«ALONE TOGETHER» DI CHET BAKER E BILL EVANS È FORSE CIÒ CHE MANCA A UN DISCO JAZZ PER ESSERE UN CAPOLAVORO

 
 
   
// di Francesco Cataldo Verrina //

Questo è il disco delle affinità e delle differenze, delle similitudini e delle diversità. Tra Chet Baker, che in realtà sarebbe il vero titolare del progetto e Bill Evans c’erano similitudini e temperamentali ma non comportamentali. L’eleganza formale e la capacità di scendere in profondità, scavando negli abissi più intimi della musica, senza eccessivi sbalzi di umore e saltelli gigioneschi, li legava, almeno in apparenza. Baker ed Evans sono stai (e sono) i due jazzisti bianchi più conosciuti e amati al mondo (in Italia raccolgono messe di consensi senza eguali), e tutto ciò li accomuna ad imperitura memoria. Le differenze sostanziali fra questi due artisti archetipali che costituiscono degli unicum sono però più d’una. Così diversi nel loro approccio al jazz, entrambi erano in grado di piegare ai loro voleri lo strumento e condividevano uno stile esecutivo pastoso e suggestivamente lirico che rasentava l’introspezione, ma Baker ed Evans erano polarmente opposti quando si trattava di disciplina esecutiva.

Sebbene entrambi fossero dipendenti dall’eroina, Bill, che aveva una formazione musicale scolastica, non lasciò mai che questo interferisse con le sue capacità inventive meticolosamente precise, mentre l’autodidatta Chet divenne progressivamente irregolare e incoerente, condizionato dagli eccessi di un atteggiamento da bohémien. Evans era un intellettuale, talvolta ripiegato su sé stesso, il quale subiva le traversie e la pesantezza dell’esistenza umana; Baker, a parte il suo delicato afflato sonoro, cavalcava sull’onda della vita a briglie sciolte, ne divorava il vissuto quotidiano, subiva il fascino del proibito e della trasgressione, non tanto come arma di autodistruzione, ma quanto di sopravvivenza e di schermo contro le avverse fortune: droga, sesso, donne impossibili e ed auto di lusso costituirono il leitmotiv di una vita vissuta da eroe maudit dai tratti cinematografici, in netto contrasto con un musica sembrava la quiete dopo un tempesta interiore che si placava nel fraseggio di un tromba sussurrata o di un canto sofferto e crepuscolare.

Nonostante i due musicisti avessero, al di là del loro portato culturale e di conoscenza della musica, idee simili riguardo all’estetica formale del jazz, hanno registrato poco insieme. Due esecutori calmi e meditabondi, più vicini alle regole d’ingaggio del cool e meno a quelle del dilagante hard-bop che, in quel lontano 1958, reggeva le sorti e le redini del jazz mondiale. Non è un caso se in questo album, dal suggestivo titolo «Alone Together», non vi siano capitomboli, acrobazie e sussulti di tipo hard-swingin’ ma tutto il costrutto sonoro si srotola attraverso un mood ricco di pathos, calato in un’ambientazione soft e da luci soffuse. «Alone Together» rappresenta l’altra faccia del jazz, dove la fisicità, la velocità e l’irruenza cedono il passo all’introiezione, all’elegia ed al tormento interiore. I due sodali cercarono di dare il meglio di sé, pur non essendo al massimo della forma: il trombettista , come sempre, officiò una liturgia sofferta e fragile, ma capace di trasferire la sensazione, mentre pianista risultò simpatetico con il materiale eseguito con i differenti line-up e scelto durante le sessioni fissate su nastro il 30 dicembre 1958, il 18 gennaio ed il 22 luglio 1959.

L’opener dell’album, nonché la title-track, «Alone Together» lancia un piccolo incantesimo sotterraneo dalle tinte scure. Baker respira attraverso linee lunghe, persistenti e ipnotiche che si flettono e fluiscono con contenuta sobrietà. L’umore prevalente è malinconico e down-tempo, con Evans eccessivamente cauto, che si limita al comping e si contiene negli assoli per tutta la durata del disco. Curiosamente, i due protagonisti in cartellone restano a distanza l’uno dall’altro. Il canzoniere scelto per l’occasione offriva loro sviluppi alquanto creativi, ma Baker rimase sommesso e l’understatement divenne la caratteristica di Evans, perfino nel delirio amoroso di «I Could Have Danced All Night». Per contro, Herbie Mann e Pepper Adams che costituirono la prima linea Chet, sostenuti da Kenny Burrell alla chitarra, Paul Chambers al basso e Connie Kay (e da Philly Joe Jones in tre brani) alla batteria sembrano più decisi a portare la pelle a casa, attraverso un ottimo gioco delle parti. Ottimo il basso di Chambers in «Alone Together», così come lo struggente soliloquio baritonale di Adams che si uniscono alla plasticità del fraseggio di Baker divenendo individualmente memorabili e propedeutici all’insieme.

Il ricco lirismo di Burrell nei due brani in cui suona, particolarmente in «It Never Entered My Mind», aggiunge un ulteriore strato di complessità timbrica a cui fanno da contrappunto i riempimenti pacatamente ammiccanti di Baker. Predominano i tempi lenti, perfettamente sostenuti da flessuose dichiarazioni ritmiche. il blues non è mai lontano dalla cassetta degli attrezzi di Baker, come in «You’d Be So Nice To Come Home To», fortemente spaziato, non da ultimo grazie all’ispirato comping di Evans che, di tanto in tanto, ricorre al proprio arsenale e risponde con decisione all’accresciuta assertività di Baker in «Time On My Hands»; qui il cui suo modo di estrarre gli accordi è più convincente ed assume un peso maggiore rispetto ad altri momenti dell’album. «Alone Together» non è un’opera rappresentativa della vera chanson de geste dei due titolari dell’impresa, ma destrezza e bellezza, almeno a livello formale, diventano gli atti costitutivi del progetto. Il disco venne pubblicato nel 1959, un mese dopo l’ultima sessione di registrazione, ottenendo un discreto successo di critica e di pubblico. Alcuni storici del jazz lo considerano come un vero e proprio precursore del più noto «Kind of Blue». Ovviamente «Alone Together», che non possiede comunque la tempra del concept ed è solo un insieme di standard ben assemblati, non ha mai avuto i riconoscimenti e la seminale virulenza del lavoro di Miles Davis che arrivo sul mercato solo sette mesi dopo, ma fu un ottimo allenamento per Bill Evans.
   
 
 
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